Live Report: D’Angelo and the Vanguard @ Auditorium Parco della Musica di Roma

a cura di Alberto Parisi

Roma, 6 Luglio 2015 – Fa caldissimo. Forse la più torrida delle serate romane che si ricordi negli ultimi anni. Ma per le quasi duemila persone presenti ieri sera all’Auditorium Parco della Musica, la temperatura è balzata di colpo a livelli da febbre non appena sul palco della Cavea è comparso D’Angelo, il cantante americano neo soul più osannato da critica e appassionati di musica di tutto il mondo. Cappello bianco e chitarra elettrica dai bordi glitterati, D’Angelo, accompagnato dalla band “The Vanguard”, fa capire subito che quella di Roma sarà una di quelle notti speciali che ricorderemo per tanto tempo. Una di quelle notti nelle quali è impossibile non ballare, mentre si resta incantati dalla tecnica dei musicisti. Nelle quali il canto fa vibrare corde profonde parlando d’amore e giustizia sociale. Nelle quali il divertimento è un’esplosione sonora che vorremmo non finisse mai.

Si parte con “Aint’ That Easy”, e il pubblico del parterre e delle tribune scatta immediatamente in piedi, quasi “richiamato all’ordine” dallo stesso D’Angelo: impossibile stare seduti. Il cantante si avvicina ai ragazzi e alle ragazze sottopalco, stringe mani e invita ad applausi ritmati che accompagneranno buona parte del live. E’ ora la volta del secondo brano del live, “Betray My Heart”, e poi “Spanish Joint”, per la cui esecuzione D’Angelo abbandona la chitarra per sedersi davanti ai tasti del pianoforte. E’ tutto perfetto, ogni passaggio musicale si fonde nel successivo senza soluzione di continuità, in un continuum sonoro che ricorda una jam tra amici nonostante la millimetrica precisione della performance.

D’Angelo scompare a questo punto per qualche minuto dal palco, per poi tornare mentre la chitarra flamenco suona le prime note di “Really Love”: usare il termine “magia” può sembrare banale, ma è davvero difficile trovarne altri per descrivere l’intensità del momento.

Pugno chiuso al cielo e dedica a tutte le vittime della brutalità della polizia in ogni parte del mondo: è ora la volta dell’esecuzione di “The Charade”, uno dei brani più esplicitamente politici dell’ultimo album “Black Messiah”. Il cantante si avvicina al pubblico, lo saluta e ringrazia con il “fist bump” mentre un travolgente assolo di chitarra chiude il brano per lasciare spazio alle ultime canzoni della parte ufficiale del live: “Brown Sugar” e “Sugah Daddy”. E’ l’apoteosi del soul più classico. Il paragone con James Brown è inevitabile: D’Angelo chiama tutti i presenti al battimani ritmato mentre “dirige” gli stacchetti della band. Il pubblico è in estasi per un climax musicale che sembra infinito.

Inevitabili i bis, che regalano ai presenti la parte più intima e raccolta del live. “Till It’s Done (Tutu)” e “Untitled (How Does It Feel)” sono i brani scelti per congedarsi dal pubblico. Le doti da grande showman di D’Angelo sono esaltate dai giochi divertiti (lui che finge starnuti quando dovrebbe iniziare la strofa) e dai baci dati e ricevuti dalle ragazze sottopalco, mentre la band si congeda un membro alla volta tra gli applausi scroscianti. Fino a quando il cantante non rimane solo, al pianoforte, salutando un pubblico romano che gli dedica una vera e propria ovazione.